Processo Bucaria, chiesti 21 anni per l'imprenditore trapanese
E' accusato di essere il mandante del tentato omicidio del cognato
Ventuno anni e cinque mesi di carcere: la richiesta di condanna avanzata dal sostituto procuratore Sara Morri, nei confronti dell’imprenditore trapanese, Matteo Bucaria, accusato di essere il mandante del tentato omicidio del cognato Domenico Cuntuliano, avvenuto nel 2013. Per quell'agguato era stato condannato, in via definitiva, a 12 anni, l'ex dipendente comunale Gaspare Gervasi, ritenuto l'esecutore materiale. Secondo la ricostruzione del delitto diede appuntamento a Cuntuliano in un appezzamento di terreno con la scusa che doveva parlargli. Sceso dall'auto fece fuoco contro la vittima designata che rimase gravemente ferita. L'agguato venne messo a segno nelle campagne di Guarrato. La vittima, che lavorava in una impresa del cognato, venne raggiunta da un colpo di fucile caricato a pallettoni. Ferito riuscì a salire in auto e a raggiungere il centro abitato dando l'allarme.
Soccorso, Cuntuliano che all'epoca dei fatti aveva 49 anni, è stato trasportato prima al Sant'Antonio Abate di Trapani e successivamente accompagnato con l'elisoccorso a Palermo.
Il movente del tentato omicidio sarebbe riconducibile a problemi economici dell'imprenditore che ha progettato di eliminare il cognato per impossessarsi del suo patrimonio. All'origine del tentativo di agguato mortale, infatti, c'è la difficile condizione economica in cui era precipitato l'imprenditore trapanese, sfociata poi in una sentenza di condanna per bancarotta. Bucaria per far fronte ai debiti aveva deciso di eliminare il cognato per puntare al suo cospicuo patrimonio
Nel settembre 2019, a seguito di un esposto anonimo, le indagini, coordinate dalla Procura di Trapani sono state riavviate. Attraverso la rilettura degli atti processuali pregressi, il riascolto delle intercettazioni dell’epoca sono stati raccolti gravi elementi indiziari.
Decisivo per la risoluzione del Cold case, il sequestro di una lettera scritta dal carcere da Gervasi al mandante. Nella missiva l'ex dipendente comunale si lamentava per non aver ricevuto il compenso concordato per l’esecuzione del crimine, rimarcando di aver bisogno di un’adeguata rendita per la sua famiglia come ristoro di quanto era derivato dalla sua carcerazione. Gervasi poi ha iniziato a collaborare, ricostruendo con dovizia di particolari tutta la vicenda.
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